Gioco: un’introduzione. Piccolo manuale di bricconerie e altre possibili rivoluzioni

a cura di Genealogie del Futuro 

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La signora dei parti lavora da sola

di Alessia Giordano

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Oulipiana

di Ljuba Ciaramella – Genealogie del Futuro

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Inferno e paradiso

un progetto ludico a cura di Genealogie del Futuro e collettivo scafandra

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Fuoco agli scivoli e alle altalene.

Meow Collective a Bruxelles

di Giacomo Giannantonio

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Piero Gilardi: pratiche di gioco per immaginare nuove forme di comunanza

di Costanza Mazzucchelli

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Bagordo

di Ariele Bacchetti ed Elena De Angeli

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Il borgo del malaugurio

di Massimiliano Ricci

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Calligrammi

di Arianna Tremolanti

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Rab Sitting

di Manuel Ghidini

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Je m’amuse avec les bandes dessinées

di Martino Santori

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Ipotesi di Magia Nera

di Irene Mathilda Alaimo

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Rirì Novi

di Silvia Bandera

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On Play Pretend And Other Girls Sports

di Flavia Parea e Paloma Pertot

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La grotta nel tempo che ci farà marcire

di Carlo Di Benedetto

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e su questo non ci piove!!
su una sistematicità del dubbio

di Francesca Brugola

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Notitia

di Giorgio Mattia

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Fonti

per approfondire

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William Heath, March of Intellect, 1829 © The Public Domain Review

Gioco: un’introduzione.

Piccolo manuale di bricconerie e altre possibili rivoluzioni

a cura di Genealogie del Futuro

«Ogni gioco significa qualche cosa»¹

Il gioco è un atto che precede la cultura, un impulso primordiale che nasce dal sangue e pulsa a ritmo della nostra esistenza. Nasce nel corpo, attraverso di esso – insinuandosi nelle sue pieghe ribelli e desideranti – e da questo evade, infondendo in tale sconfinamento l’urgenza di intravedere un significato nuovo, ulteriore. Il gioco piega e sfasa la realtà: è un gesto che non è né un semplice passatempo, né un esercizio di virtù. Il gioco è immanente, esiste al di là del bene e del male, libero da ogni giudizio morale e inscritto nel genoma stesso del vivente. Come ci ricorda la storiografia artistica di Johan Huizinga, gli animali non hanno mai atteso che gli umani insegnassero loro a giocare: il gioco è sempre stato lì, una scintilla di vitalità pura che attraversa specie ed epoche².

Eppure, il gioco non è solo istinto biologico ma un vero e proprio spazio in cui la realtà si frantuma e ricompone in altre forme spesso indefinibili. In questa dimensione rarefatta, il gioco diventa gesto sociale, narrativo, visionario, tagliente, imprendibile.

 

Racchiuderlo in categorie è impresa vana, e xenia DUE accetta questa sconfitta preliminare, perché il gioco ogni volta accade e fugge, si manifesta e non si lascia definire. Naturale come una secrezione ed evasivo come un Trickster, il «Briccone-divino, Demiurgo-ingannatore»³, trascendendo culture e geografie diverse, continua a incarnare quella sacra amoralità in cui si incontrano creazione e distruzione, ideologia e rivolta.

xenia DUE nasce quindi dalla volontà di esplorare il gioco in tutte le sue forme e contraddizioni. Si incontreranno storie di sfide ed esplorazioni, momenti di gloria e sconfitta, risate e ferite. Ogni pagina, nata dall’incontro di immagini e parole, sarà occasione per addentrarsi nei territori incerti e disordinati del gioco, celebrando il mistero impenetrabile di questo gesto universale, in cui ogni contributo diventa un passo sbilenco e radicale che rincorre il Trickster in fuga. Ne seguiamo la risata demoniaca senza arrivare mai, e tuttavia immaginiamo a ogni passo nuove regole che portano altrove, altrove, altrove…

 

… sangue, lune, scrigni, ossa, notti e sonni,

Sangue, lune, scrigni, ossa, notti e sonni,

Sangue, lune, scrigni, ossa, notti, sonni e sogni. 

Alessia Giordano, con le sue poesie e la loro musicalità, ci incanta in un percorso dalla melodia quasi maniacale che ricorda il ritmo della filastrocca. Una condizione universale, una forza, un’energia tenta di elaborare un lutto tramite lo scorrere del sangue e quindi la sua perdita. Con un atto, che potremmo definire psicomagico, emerge l’aspetto curativo, intrinseco al verso stesso: la ripetizione, la cantilena. La signora dei parti lavora da sola è al contempo una storia, una poesia, una filastrocca, ma in primo luogo è una cura per chi legge, un antidoto che taglia, cuce e pulisce.

Lacerare e ricucire sono gesti che ri-configurano nuove strutture potenziali a partire da una realtà data, allo stesso modo dell’analisi e la sintesi operate dal gruppo Ou.Li.Po. e il suo manifesto La littérature potentielle (Créations Re – créations Récréations) del 1973, in cui si incarica del compito di giocare con le parole e le regole, creandone delle nuove e inventando nuovi modi di immaginare e strutturare i testi. Il loro Oulipiana è un libro che presenta un percorso di ricerca sperimentale articolato attraverso scritti, poesie e documenti inaspettati commentati da Ljuba Ciaramella, della redazione. A chi legge vengono presentati alcuni degli esercizi di scrittura presenti nel libro che sono frutto della ricerca di grandi autorə del Novecento volti a indagare i limiti del linguaggio, in una sorta di gioco acrobatico sillabico. Ogni opera, sia poetica che narrativa, si costruisce partendo da un’ispirazione, si adatta a una serie di restrizioni e regole grammaticali che fanno di per sé l’elemento essenziale di un testo.

 

Giocare con le parole per inventare, questa volta, profezie e narrazioni aleatorie è l’idea che ha guidato il progetto ludico con collettivo scafandra. Riesumando, direttamente dalla memoria della nostra infanzia, un oggetto enigmatico – conosciuto con i nomi più svariati: fortune teller, acchiappanaso, inferno e paradiso, salt cellar – il collettivo ci ha insegnato una pratica di letteratura combinatoria per muoverci attraverso piani di realtà differenti. Parole-superficie e parole-sotterranee, scaturite dalle riflessioni condivise intorno alla domanda cosa vuol dire mettersi in gioco?, si sono mescolate di volta in volta per dare risposte a quesiti profondi e costruire narrazioni ludico-profetiche, raccolte in due componimenti disseminati all’interno dell’editoriale. Ma attentə: quelle che leggerete sono solo alcune delle invenzioni possibili che abbiamo trovato mettendoci in gioco. Ora che il dispositivo è vostro, potete esplorare l’ignoto!

 

 

E a questo punto ci chiediamo, mentre inseguiamo il nostro Trickster: «C’è ancora spazio per il pericolo?»

Il gioco deə bambinə negli spazi pubblici è stato sempre regolamentato, sacrificando il valore educativo del rischio, della creatività e della libertà di sperimentare. nell’intervista Fuoco agli scivoli e alle altalene. Meow Collective a Bruxelles di Giacomo Giannantonio, gli architetti Maarten Weyns e Omar Kashmiry del Meow Collective raccontano Yalla!Play!, il loro progetto di parco giochi d’avventura nel Parc Ouest di Bruxelles. Qui, lə bambinə non trovano strutture predefinite, ma strumenti per costruire autonomamente il proprio mondo, esplorando e plasmando spazi condivisi. Weyns e Kashmiry descrivono il loro lavoro come un processo che traduce i desideri deə bambinə in realtà, sottolineando il valore sociale e pedagogico di spazi che favoriscono l’auto-espressione e la responsabilità. Il progetto, nato da un dialogo con bambinə e comunità locali, non solo rivaluta il ruolo del gioco nel contesto urbano, ma invita a ripensare le città come luoghi inclusivi e dinamici, dove l’immaginazione diventa il fulcro della progettazione urbana.

 

 

Cercando di tenere il passo: «Non puoi fermarti e giocare insieme a me? Usciamo, andiamo in strada a giocare a campana, dai! Dicono che con ogni saltello ci riprendiamo un pezzo di città!»

 

Mostri, giullari e fiere sfilano sul cemento come fosse un carnevale. Sono maschere colorate e grottesche, caricature di personaggi cult che provengono da tutte le immaginazioni, come il Dracula di Stoker e di Hollywood: è il poliuretano espanso di Piero Gilardi in grado di esprimere allo stesso tempo il cinematografico e il popolare. In Piero Gilardi: pratiche di gioco per immaginare nuove forme di comunanza, Costanza Mazzucchelli analizza una delle pratiche artistiche più dirompenti e attuali dell’artista torinese, ovvero la realizzazione di maschere per le manifestazioni e le pratiche di attivismo. Attraverso il costume, sempre calato all’interno dell’azione, Gilardi vuole restituire l’arte alla politica non come forma di espressione, ma come strumento, e il catalizzatore di tutto è il gioco.

 

 

«Giù la maschera! Se proprio non mi vuoi rispondere, risolviamola a duello. Chi perde si ferma qui, va bene?» 

 

«Bagordo / Ho accettato l’invito / al banchetto dei tuoi rospi nel recinto / di lizza violenta rievocazione / ma simulata – dei combattenti schierati / al formicolante bagordo / inconfessata / festa sanguinosa». Questo l’incipit del testo di Elena De Angeli, scaturito a partire dalle suggestioni dell’opera pittorica di Ariele Bacchetti. Due linguaggi che in xenia DUE si ibridano a formare l’opera Bagordo. E’ quest’ultima infatti l’immagine predominante: l’antica festa medievale dove il duello era accompagnato da sfrenati banchetti. L’attenzione volge soprattutto sul significato del combattimento in senso ludico: una lotta metaforica che lə artistə utilizzano come strumento per riflettere sulla nostra identità e costruzione della coscienza. Attraverso quindi il parallelismo tra gioco e conflitto, la poesia e l’opera pittorica incarnano all’unisono lo spirito del bagordo.

 

 

Mentre duelliamo, eccolo… il Trickster! L’imprendibile, che ci gira intorno, ridendo piano. Ripensiamo alle mosse… sempre quelle: avvicinarci? No, no… allontanarci! Saltare di lato… o forse… altrove! Non sappiamo nemmeno più dove siamo! Però, sì… sì, sappiamo dove andiamo.

 

Inciampiamo allora in un villaggio dai toni macabri, abitato da figure oscure che possiamo ritagliare e animare: streghe, stregoni, viandanti, spettri, animali ibridi e mercanti di oggetti bizzarri. Nel teatrino Il borgo del malaugurio di Massimiliano Ricci, il legame ancestrale tra umanità e natura prende vita, intrecciando misticismo, folklore e studi di genere in una riflessione critica sulla scomparsa dei riti nella società contemporanea. Questo momento ludico invita a creare storie in un villaggio che, dietro l’apparente oscurità, svela un principio di interconnessione e armonia: qui regna la pace, la società vive di baratto e la magia nutre la terra in un ciclo continuo di scambio e rigenerazione. Ne Il borgo del malaugurio, il cortocircuito tra apparenza ed essenza invita chi gioca a perdersi tra i neri tetti di questa città magica, immaginando storie di un mondo che forse non esiste ma nasconde la chiave per ripensare in maniera più armoniosa e inclusiva i legami tra le persone e l’ecosistema.

 

 

Il Trickster per ora è sparito, qualcosa inizia a rimbombare in lontananza ma non ancora qui. Momento per ricapitolare ciò che si è imparato: «Saltare altrove, saltare indietro… per andare avanti, superare le ombre rimanendo in un dedalo.»

 

Ecco che i Calligrammi di Arianna Tremolanti abitano le pagine di xenia DUE componendo un collage psico-emotivo fatto di parole proprie e parole prese in prestito, dove è possibile ritrovare Nietzsche, Jung, Truceboys, Battiato e racconti inediti che si intrecciano in un labirinto semiotico. Nel passaggio dall’infanzia all’età adulta, il gioco si evolve in arte, religione, filosofia: rifugio di un’immaginazione che affronta la dissoluzione degli ideali infantili lasciando emergere un incanto cupo dove la fantasia e la possibilità di superare la soglia di questo mondo non sono scomparse ma solo trasformate. Le parole che animano questa poesia visiva sono prima raccolte gelosamente, poi trascritte e infine rese puro segno: private della loro autorialità mutano in forme fiabesche dove orsetti, castelli, burattini e festoni diventano portali di quell’altrove che esiste a metà tra il mondo e il cuore di Tremolanti.

 

 

«… saltare sempre, saltare alienatə, saltare e sbattere la testa…»

 

L’opera Rab Sitting di Manuel Ghidini indaga il lato oscuro del gioco e del suo doppio, la gamification nel mondo del lavoro. Nell’installazione-videogioco, il pubblico è invitato a muovere un Super Mario vestito di verde attraverso una sfida quasi impossibile. Dalla case che ricorda le slot machine, alla scelta del titolo che allude alla radice slava di parole quali “lavoro”, “servo” e “robot”, fino al protagonista – un idraulico in tuta – l’opera racconta un percorso di consapevolezza e riappropriazione della pratica ludica come strumento di emancipazione, e non di servitù, per la classe operaia⁴.

 

«Qui rompiamo le righe, basta con queste regole assurde. Dimmi, ora che siamo vicinə, chi stabilisce le regole del gioco? Rompiamole, infrangiamole tutte! Che non mi soffochino più.»

 

Martino Santori per le sue vignette utilizza spesso una cornice visiva limitata ma non limitante, perché al suo interno opera la massima libertà espressiva, diventando anche il motivo per superare il limite definito del contenitore. Il confronto poi, con l’aspetto ludico, si innesta quando la restrizione visiva di cui è composta la vignetta fa da specchio al sistema di regole insite nel gioco stesso, e dà senso al suo esistere. Je m’amuse avec les bandes dessinées è dunque un connubio circoscritto tra parola, immagine e gioco sotto forma di strisce autonome e autoconclusive ma con tratti comuni e riconoscibili. I disegni incarnano cosí la sperimentazione libera e il ludico, che legandosi alla parola e al testo all’interno della forma definita, ne scardinano i limiti e giocano con essa.



«Lo vedi? Nel mondo del gioco tutto è possibile: lasciati trasportare dalla fantasia, dall’immaginazione. Chiudi gli occhi e… fermati, Trickster! Non muoverti! Tanto non ti vedo comunque, sono al buio. Allora, che facciamo? Giochiamo ancora?»

 

Riapri gli occhi. 

 

Di notte, attraversando le strade di una Venezia esoterica, incontri degli oggetti inusuali. «Sembrano lasciti di un rituale abbandonato.Ti avvicinerai?». Così appare Ipotesi di Magia Nera, l’installazione di Irene Mathilda Alaimo pensata per innescare fenomeni di affabulazione in chi vi inciampa casualmente. Influenzata dalle pratiche di storytelling di internet e dai diversi modi di narrare il folklore, l’artista “gioca a fare finta che…”: dissemina in città altari dalle forme stereotipate, che ricalcano un’estetica neo-pagana e Wicca, dove elementi caratteristici si uniscono a oggetti stranianti – come spatole, cucchiai, piccoli ninnoli e rimandi al mondo infantile. Questi scenari bizzarri e fortuiti, che decontestualizzano il dispositivo dell’altare, disorientano lo sguardo di chi percorre lo spazio pubblico, ne modificano il percorso tanto da disturbarlo, e danno vita a una leggenda metropolitana, inquietante e perturbante. 

 

Di tradizioni fantastiche, verosimili o impossibili, e calate nel contemporaneo ci parla anche Silvia Bandera con la sua Rirì Novi, che approda sulle pagine di xenia DUE come una figura circense, con la tutina e il corsetto, appesa a un cerchio che volteggia nel vuoto e subito il collegamento con il ludico pare immediato. Il suo diario si presenta intimo e personale, tanto quanto sagace e avvincente, ma è solo conoscendone il processo creativo che si è in grado di accedere alla profondità del lavoro, che non è solo narrativo ma comporta anche e soprattutto un processo multistrato: l’attraversamento di un’identità poliedrica. Il gioco non è solo nell’interpretazione dei personaggi che Rirì è stata (la trapezista, la prostituta, l’attrice), ma è protagonista della pratica stessa di Bandera che si diverte a ricostruire una storia semi-fittizia basata su premesse reali, divenute prima leggenda attraverso una trasmissione orale, ed eterne ora grazie alla loro formalizzazione.

 

 

«Quanti anni hai, Trickster? Quanti anni ho?»

Il rimbombo viene da dentro: «cosa si nasconde davvero dietro le storie che mi raccontavano da bambinə? Solo un riflesso di chi sei ora. O magari un’ombra, una verità dimenticata… o una bugia così bella da averla voluta credere finora.»

 

Cosa ci insegnano le fiabe? Sono forme innocenti e consolatorie o celano un aspetto inquietante? On Play Pretend & Other Girls Sports di Flavia Parea e Paloma Pertot unisce performatività linguistica e pratiche sonore per indagare l’impalcatura ideologica e teorica nascosta dietro alle storie, svelandone lo scheletro ingabbiante, formato da elementi pre-costituiti e rigidi da cui è difficile svincolarsi. Attingendo al vasto immaginario di topoi narrativi, figure della tradizione e della contemporaneità visuale sono ibridate in una fiaba decostruita che tratteggia la figura di una ragazza impegnata nell’incessante scoperta di se stessa. Il racconto, sconclusionato, scardina quindi la linearità della narrazione, e segue piuttosto un andamento a spirale, dove il suono dà vita ad atmosfere evocative in cui i confini delle nostre identità si dissolvono in una drammaturgia collettiva senza autorialità, proponendo una narrazione fiabesca aperta e libera.

 

 

«Ma dove sei, adesso? La tua risata ora rimbomba ovunque… non capisco più nulla! È tutto sottosopra, vero?»

 

Come suggerisce Carlo Di Benedetto nel suo saggio La grotta nel tempo che ci farà marcire, la grotta nei videogiochi non è solo un luogo di esplorazione e avventura, ma un simbolo politico. Spazi sotterranei, come miniere e caverne, riflettono le tensioni tra esperienza sensoriale e sfruttamento economico svelando storie spesso invisibili. Da Colossal Cave Adventure a Kentucky Route Zero, passando per MINE  e Saturnalia, il sottosuolo rivela gli spettri del potere e del colonialismo che animano l’industria videoludica celandosi dietro l’intrattenimento. Entrare in queste grotte significa confrontarsi con le narrazioni dominanti, scendere nell’oscurità per riemergere con nuove prospettive su sostenibilità e giustizia.

 

e su questo non ci piove!!! Così dichiara apparentemente il titolo del saggio dell’artista e scrittrice Francesca Brugola, in cui è il linguaggio stesso a rivelarsi nella sua natura giocosamente corrosiva. Le parole di Brugola forzano volutamente gli ingranaggi interiorizzati della macchina linguistica – sempre in bilico tra concettualizzazione e discriminazione, terrorismo e resistenza – sezionandola con un taglio ironico che riunisce rigore scientifico ed esplorazione concettuale, e dove la lingua si ripiega di proposito nelle sue (possibilmente infinite) rotture. In questo rovesciamento auto-riflessivo emergono il sottosuolo organico del linguaggio, la sua ombra in itinere, verbomorfica, in agguato dietro ogni ideologia. Tra i giochi linguistici di Wittgenstein e le confabulazioni sotterranee di Berger, il testo invita chi legge a prendere consapevolezza di un gioco spesso rimosso: quello di un linguaggio di per sé raschiante, sfuggente, entro cui ritrovarsi seguendo le sintassi di nuove alleanze sovversive. Su cosa non dovrebbe piovere? E se invece la posta in gioco fosse quella di annuvolare e giocare nella penombra linguistica?

 

 

«Ehi, Trickster… hai mai giocato a qualcosa che sembra un gioco, ma non lo è del tutto?»

 

Notitia di Giorgio Mattia è un gioco testuale meta-narrativo e un laboratorio di linguaggio e percezione visiva. Mettendo alla prova i concetti di verità e finzione nella cultura contemporanea, questo game-like storytelling gioca con la tensione tra ciò che appare vero e ciò che è costruito, sfidando la nostra fiducia nel linguaggio quanto nelle immagini e invita lə lettorə-giocatorə a simulare un atto di interpretazione attraverso indizi nascosti, testi criptici e frammenti da ricostruire. La struttura frammentata del racconto riflette il modo in cui i giochi virali si diffondono: tramite brandelli, screenshot, teorie e narrazioni condivise sui social, “infettando” un immaginario collettivo sempre ambiguo tra verità e finzione. Le immagini emergono dall’universo horror e immersivo: il glitch, il rumore e le texture a bassa risoluzione generano disorientamento, al tempo stesso criticando la fiducia nella “verità” dell’immagine nei media contemporanei, suggerendo che il “realismo” sia una costruzione manipolata, simile alla narrazione e all’estetica controllata dei giochi.  Notitia rompe la quarta parete mettendo in discussione l’autorialità e il ruolo di chi gioca e sfidando il carattere del linguaggio come strumento neutrale.

 

 

Chiediamo infine in una risata esasperata: «Ma stiamo girando in tondo, Trickster! Dimmi la verità!»

 

Il Trickster si avvicina, inclinando la testa con un sorriso enigmatico. Emette un sussurro suadente e antico:

«Ogni gioco può in qualunque momento impossessarsi completamente del giocatore».

¹ Johan Huizinga, Homo Ludens, Einaudi, Torino, 1973, p. 19.

² Ivi, p. 17.

³ Silvana Miceli, Il demiurgo trasgressivo. Studio sul trickster, Sellerio, Palermo, 2000, p. 12.

⁴ Per xenia DUE, l’artista ha realizzato delle immagini del gioco, scaricabile e giocabile dal sito di Genealogie del Futuro.

⁵ Johan Huizinga, Homo Ludens, Einaudi, Torino, 1973, p. 27.

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