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su una sistematicità del dubbio

di Francesca Brugola

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Notitia

di Giorgio Mattia

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Fonti

per approfondire

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e su questo non ci piove!!!

su una sistematicità del dubbio

di Francesca Brugola

«Caro ignaro e pacifico lettore,

le pagine che ti accingi a leggere sono un invito esplicito e urgente alla violenza.»¹

Io, che sono la «sprovveduta […] sciocchissima […] pigrissima»² lettrice a cui Balestrini si rivolge, non ho potuto far altro che prendere in prestito le sue parole come introduzione alle mie.

 

Scrivo mentre in Italia da qualche settimana la camera dei deputati ha approvato a larghissima maggioranza il ddl 1660, che si distingue per essere il più grande attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana. Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International, ne parla come un modello di «cattivismo»³, che criminalizza forme di protesta non violenta.

Nel Capo I, Articolo 1, si legge l’espressione «terrorismo della parola»⁴, ovvero l’azione propagandistica, sia in forma orale sia scritta, che un’organizzazione terroristica costruisce al fine di radicalizzare lə possibilə affiliatə. 

Attuando un processo di astrazione, penso alle possibili estensioni dell’espressione “terrorismo della parola”, partendo dal significato del termine “terrorismo”. Secondo il dizionario, tale concetto rimane ambivalente, in quanto utilizzato per descrivere fenomeni storicamente molto diversi, rendendo la sua stessa definizione un processo tanto necessario quanto complesso, affrontato anche dal diritto internazionale, senza che tuttavia si sia riuscitə a trovare un accordo sull’individuazione di un confine tra terrorismo e resistenza. Perché il primo viene considerato come criminale, la seconda invece come legittima. 

Osservando il contesto internazionale attuale – in cui si assiste al genocidio del popolo palestinese – è evidente come questo confine venga trattato con arbitrarietà. 

Per ridirezionare questa riflessione torno alla categoria del micro, chiedendomi come, e da chi, sono e saranno definiti i significati e i limiti di libertà della parola; fino a dove quest’ultima sarà legittima e quando diventerà criminale. E mi chiedo soprattutto come entrare nel gioco, quali strategie di resistenza linguistica escogitare.

 

Per definizione un gioco prevede delle regole. Ludwig Wittgenstein, all’inizio delle Ricerche filosofiche, mettendo a confronto linguaggio e gioco, si domanda a che cosa assomigli un gioco delimitato dappertutto da regole: «un gioco le cui regole non lasciano penetrare nessun dubbio; gli tappano tutti i buchi? – Non possiamo immaginare una regola che regoli l’applicazione della regola? E un dubbio che rimuova quella regola, – e così via?»⁵.

Nel suo monologo Wittgenstein immagina le estensioni potenziali del linguaggio: dubita, ripensa il funzionamento delle regole, prevedendo il caso in cui «giochiamo e make up the rules as we go along e anche quello in cui le modifichiamo as we go along»⁶. Questo accade nel gioco tanto quanto nel linguaggio, in filosofia e in architettura. 

Esemplare è infatti il progetto dell’abitazione della sorella Margaret nell’estate del 1926 a Vienna. La casa è da considerarsi come parte integrante della ricerca filosofica di Wittgenstein e non una mera applicazione di quest’ultima. Nella casa sulla Kundmangasse il filosofo sperimenta il ripensamento: partendo da un impianto – un sistema – già definito dal collega e architetto Paul Engelmann, lo sottopone a delle rianalisi. Il sistema originario viene considerato valido fino a quando il ripensamento si inserisce al suo interno, intaccandone dinamiche e fondamenta: se inizialmente ogni ambiente della casa è da considerarsi come sistema autonomo che non ha influenza sugli altri, quando il ripensamento viene applicato a uno di questi ambienti a livello costitutivo-strutturale, si nota che le trasformazioni specifiche comportano mutamenti a catena anche sugli altri ambienti e quindi sul sistema globale. 

Wittgenstein dedica un’attenzione particolare alla contraddizione tra regole, ammettendola. Alla contraddizione c’è sempre soluzione: se due regole si contraddicono, basta inserirne una terza che risolva la contraddizione. Quest’ultima infatti esiste tra una regola e un’altra, e non fra la regola e la realtà: «si ha l’impressione che una regola sbagliata sia un ostacolo sul proprio cammino, ma in effetti è soltanto un diverso cammino. Se date la regola sbagliata, date una regola differente»⁷.

Così le strategie di resistenza linguistica esistono in potenza nella regola a cui si oppongono. Sono costitutive del sistema linguistico – del gioco – che, per costituzione, riformula e determina i propri criteri. 

Francesca Brugola, e su questo non ci piove!!!, 2024 (dettaglio)

Similmente anche John Berger parla del confabulare delle parole tra loro, riferendosi al linguaggio come un corpo vivo. In una riflessione circa la “Lingua Madre”, Berger delinea l’immagine di quella che definisce «creatura del linguaggio»⁸, che andrebbe a imparentare tutti i linguaggi – non solo quello verbale. Così la «creatura del linguaggio appartiene tanto all’articolato che all’inarticolato»⁹: se le parole, le proposizioni e i termini sono separati dalla loro creatura, vengono utilizzati come etichette e saranno «inerti e vuoti»¹⁰. Fanno da esempio gran parte dei discorsi politici a cui siamo sottopostə, i quali sono costituiti da parole che, separate da ogni creatura del linguaggio, sono morte. Dice Berger che questo tipo di “chiacchiera” spazza via la memoria e va a fomentare un’inesorabile condiscendenza¹¹

 

Se alle parole venisse lasciato lo spazio e il tempo di riscivolare nella creatura del linguaggio, dedicando loro abbastanza attenzione, si noterebbe come queste si incontrano e riconoscono tra loro, nelle affinità o nelle opposizioni di significato. Si potrebbe allora ascoltare il loro confabulare mentre discutono, accettano o rifiutano il ruolo che chi le ha utilizzate ha loro assegnato¹². Comprendendo il linguaggio e le parole come sistema e fattori attivi, autonomi, vivi, è possibile quindi vederne le estensioni.

Dovremmo ora riuscire a visualizzare un’immagine complessa del sistema in cui vogliamo inserirci come variabili di una regola. La risignificazione avviene per sovrapposizioni di strati di azioni e contro-azioni agite da noi e dalle parole stesse.

 

In vari ambiti si riconoscono studi che si soffermano sulla risignificazione come strategia di resistenza alla violenza sistemica. In Judith Butler la resistenza ha a che fare con il cambio di significato delle parole quando inserite in un contesto differente¹³; in Audre Lorde invece la resistenza si delinea come un diverso uso del linguaggio, legato al suono, allo stile, al rapporto della parola con il corpo¹⁴. Saidiya Hartman conia l’espressione critical fabulation¹⁵ con il quale viene designato un metodo che utilizza il racconto e la narrazione speculativa per correggere le omissioni della storia, in particolare delle persone ridotte in schiavitù. Lola Olufemi pone l’immaginazione a metodo al fine di esigere uno spazio di ri-scrittura radicale della Storia passata e di ipotesi alternative di quella che verrà¹⁶. In anni precedenti Monique Wittig aveva già agito in questo senso, riscrivendo il Don Quijote di Miguel de Cervantes in chiave lesbo-femminista, reclamando una narrativa mancante attraverso un’azione di risignificazione politica¹⁷.

Arrivatə qui, carə lettorə, possiamo dirci che il gioco sta nel comprenderne le regole, prima, e nell’intuizione di come risignificarle poi. “Strategia” si definisce come un piano d’azione a lungo termine: dopo aver impostato un obiettivo è possibile definire le regole e modificarle as we go along¹⁸ sulla base delle contraddizioni che s’incontrano. 

 

Propongo di intenderci, noi, come variabili in questo sistema di gioco. In un calcolo matematico siamo un numero arbitrario, un carattere non specificato o del tutto sconosciuto; in un sistema grammaticale siamo una parte del discorso che può essere modificata con il cambiare della sua funzione. Siamo le incognite, generate dal gioco e poi in questo dispersə e schieratə.

 

Mi dirigo verso la conclusione di questo testo che è una lista, un monologo, un prologo, uno spazio di soglia, un eccetera, un’immagine, una critica, una citazione, una dedica, una riflessione, un documento, una cospirazione, qualche pagina, un inserto, ecc… ed essendo, come sarà forse emerso, metodica e diligente non posso che terminare tornando al punto di partenza.

 

La mia provocazione iniziale è per «scompigliare un po’ le righe, spostare il punto di vista, rifiutare il deja-vù»¹⁹. Mettere in dubbio e decodificare gli eventuali inganni e le approssimazioni che sono segni di realtà ancora più inquietanti. Agire un esercizio di riscrittura e risignificazione.

 

Al fine di escogitare strategie – plurali – di risignificazione, in un gioco a informazione imperfetta è importante osservare le contraddizioni interne a ciò a cui ci si oppone, riconoscendosi come degenerazioni potenziali della regola che si contrasta. In uno scenario di gamification della realtà noi potremmo essere spiritellə, le incognite del sistema. Il nostro obiettivo è ripensare i significati, e per farlo ci infiltriamo nei sistemi linguistici approvati. Ne comprendiamo le regole e le raggiriamo, dandone di altre ogni volta che si crea una contraddizione. 

 

Concludo, carə lettorə, senza davvero concludere nulla. Di quel che hai letto forse non è vero niente, tranne che non si deve mai credere a ciò che si legge²⁰. E se non si legge per trovare qualcosa in cui credere, allora, che fare?

¹ Nanni Balestrini, La violenza illustrata, DeriveApprodi, Roma, 2001, p.7.

² Ivi, pp. 7-9.

³ Annalisa Camilli, Cosa prevede il nuovo ddl sicurezza e perché colpirà chi ha già meno diritti, internazionale.com, 1 ottobre 2024.

Per approfondire: Atto Camera n. 1660, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”, XIX Legislatura, presentato il 22 gennaio 2024, approvato dalla Camera e trasmesso al Senato in data 18 settembre 2024.

Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Feltrinelli, Milano, 2024,  p. 115.

Ivi, pp. 113-115.

Ludwig Wittgenstein, Lezioni 1930-1932. Dagli appunti di John King e Desmond Lee, Adelphi, Milano, 1995, p. 116, in Daniele Pisani, L’architettura è un gesto. Ludwig Wittgenstein architetto, Quodlibet, Macerata, 2011, p. 94.

 «[…] Mother Tongue is our first language, first heard as infants from the mouths of our mothers. Hence the logic of the term. I mention it now because the creature of language, which I’m trying to describe, is undoubtedly feminine. I imagine its centre as phonetic uterus.» (traduzione dell’autrice) in John Berger, Confabulations, Penguin Books, Londra, 2016, p. 5.

«[…] This practice (word-for-word translation) reminds us that a language cannot be reduced to a dictionary or a stock of words and phrases. Nor can it be reduced to a warehouse of the works written in it. A spoken language is a body, a living creature, whose physiognomy is verbal and whose visceral functions are linguistic. And this creature’s home is the inarticulate as well as the articulate.» (traduzione dell’autrice), Ivi, p. 5.

¹⁰ «[…] Words, terms, phrases can be separated from the creature of their language and used as mere labels. They then become inert and empty.» (traduzione dell’autrice), Ivi, p. 6.

¹¹ «[…] Most mainstream political discourse today is composed of words which, separated from any creature of language, are inert and dead. And such dead “word-mongering” wipes out memory and dreeds a ruthless complacency.» (traduzione dell’autrice), Ivi, p. 7.

¹² «[…] After I’ve written a few lines I let the words slip back into the creature of their language. And there, they are instantly recognized and greeted by a host of other words, with whom they have an affinity of meaning, or of opposition, or of metaphor or alliteration or rhythm. I listen to their confabulation. Together they are contesting the use of which I put the words I chose. They are questioning the roles I allotted them.» (traduzione dell’autrice), Ivi, p. 7.

¹³ Per un approfondimento, si veda Judith Butler, Excitable Speech. A Politics of Performative, Routledge, Londra, 1997. 

¹⁴ Per un approfondimento, si veda Julia Ponzio, Il potere delle parole: risignificazione e scrittura in Audre Lorde, in «POST-FILOSOFIE», n. 11, 2018.

¹⁵ Per un approfondimento, si veda Saidiya Hartman, Venus in Two Acts, in «Small Axe», Vol. XXII, n. 2, Duke University Press, Durham, giugno 2008.

¹⁶ Per un approfondimento, si veda Lola Olufemi, Experiments in Imagining Otherwise, Hajar Press C.I.C., Londra, 2021.

¹⁷ Per un approfondimento, si veda Monique Wittig, Le Voyage Sans Fin, Gallimard, Parigi, 2022.

¹⁸ Cfr. nota 5.

¹⁹ Nanni Balestrini, La violenza illustrata, op. cit., p. 10.

²⁰ «[…] Non è vero niente, è stato uno scherzo, l’ho scritto per prenderti un po’ in giro, perché in fondo sei simpatico e volenteroso. Ma non devi credere sempre ciecamente a tutto quello che leggi nei libri, anzi non devi crederci mai. I libri non si leggono per ricavarne qualcosa in cui credere. E allora perché si leggono, mi chiederai? Non te lo dirò, pigrissimo lettore, ci dovrai arrivare da te.

Ma ti vedo un po’ smarrito, in difficoltà e ho proprio paura che non ce la farai mai. E dato che devo per forza essere gentile con te, perché senza di te che cosa ci starei a fare, vedrò di darti qualche dritta, anche se non lo meriti tonto come sei. Prima di tutto devi aver chiaro che non si legge per provare emozioni, gioia o tristezza, malinconia o tripudio, così come è da idioti voler ricavare cose simili da un quadro o da una musica. La gente di solito lo fa, e armeggia beata con una robaccia inquinante in cui si rispecchia con effetto rassicurante e gratificante.

Ma un’opera autentica (libro, quadro, musica) serve a farti vedere altro, o meglio a cambiare il tuo modo di vedere, di percepire le cose e il mondo, serve a illuminare il tuo sguardo su aspetti della realtà che ti sono sconosciuti, a scuoterti per un istante dal tuo stato abituale di robot sonnambolico. A risvegliarti, anche se per pochi istanti, dandoti la vertigine di qualcosa di ignoto, che infrange le norme e le regole nelle quali vivi incastrato e anestetizzato. […]» Ivi, p. 9.

Francesca Brugola (Carate Brianza, 1996) è un’artista visiva che vive e lavora a Milano. Diplomata in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, ha frequentato anche un master presso la Manchester School of Art della Manchester Metropolitan University. La sua pratica studia la possibilità di una relazione io-tu in presenza di una distanza, sia questa geografica, linguistica e/o emotiva. Il suo lavoro è stato esposto presso Cité Internationale des Arts, Parigi; Confort Mental, Parigi; Galerie Interface, Dijon; Manchester Art Gallery. Selezionata per il programma ministeriale Nuovo Grand Tour 2023-2024, ha collaborato con Balloon project e curato testi critici con Les Atelier Vortex, Digione; LAMBX, Mestre; SpazioLaLepre, Tortoreto Lido. 

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