Precarietà: un’introduzione. Movimenti propedeutici per danzare dopo la caduta

a cura di Genealogie del Futuro

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Refusi

di Benedetta Manzi

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ALEPH

appunti per una consapevolezza spazio-temporale 

di Roberto Casti

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«Dance, to the radio!»
Futuri epilettici, tempi precari, la danza di Ian Curtis

di Marco Bellinzona

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Il punctum di Kleant

di Virginia Maciel da Rocha

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Labirinto: l’anti paradiso

di Arianna Tremolanti

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Precarietà

di Lorenzo Bonaccorsi

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Appunti di una giornata sospesa

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di Davide Robaldo

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Il cerchio delle streghe

di Selene Ghiglieri

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Latimeria

di Pierluca Esposito

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Gasping, dying, but somehow still alive

di Gianluca Tramonti

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ANIMALE

di Michele Damna

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 Sweating Cave Pages

di Traian Cherecheș

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“Non fare” come atto di resistenza alla società della prestazione

di Sofia Rasile

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Cronache di fantasmi al margine

di Olivier Russo e Silvia Ontario

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.sette fiamme per rinascere.

di Stefano Ferrari

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Bibliografia, sitografia, filmografia

per approfondire

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“Non fare” come atto di resistenza alla società della prestazione

di Sofia Rasile

One Year Performance 1985-1986 (No Art Piece) è una performance dell’artista taiwanese Tehching Hsieh che nel 1985 decide di sottrarsi alla produzione artistica per un intero anno, andando contro a un sistema convenzionale e sfidando la concezione stessa dell’arte, producendo quindi arte senza dare vita a oggetti artistici. L’azione non è stata documentata per evitare un controsenso, ma vi è un attestato firmato dall’artista che ne certifica la realizzazione. Per arrivare a comprendere la portata politica di questo gesto bisogna considerare il contesto sociale in cui tale atto performativo viene realizzato. Hsieh vuole opporsi a un sistema che porta il soggetto a produrre costantemente e, per posizionare politicamente e socialmente questo ideale, si possono analizzare le riflessioni del filosofo Byung-Chul Han.

 

Il pensatore sudcoreano elabora un’analisi in cui contrappone la società attuale a quella del passato. Quest’ultima, chiamata “società disciplinare”, è caratterizzata dalla negatività, dal divieto. I profili che ne fanno parte vengono detti “soggetti d’obbedienza”. È una società che istituzionalizza manicomi, prigioni, fabbriche e la sua negatività produce pazzi e criminali. La società attuale invece, detta “della prestazione” e caratterizzata dalla positività e dal poter fare, è disseminata di centri commerciali, aeroporti, palestre, grattacieli. I soggetti, detti “di prestazione”, sono succubi delle dinamiche sociali e sono portati a diventare depressi e frustrati. Oggi ci troviamo quindi in una “società della prestazione” che ha insito nel suo sistema stesso il produrre disturbi mentali. Ma se l’umano può decidere su ogni cosa e può fare potenzialmente tutto, da dove proviene il malessere?

 

Il soggetto contemporaneo pare non essere sottoposto a nessuno se non a se stesso. Ciò, che può sembrare una grande conquista, ha fatto in realtà coincidere la libertà con la costrizione: «L’eccesso di lavoro e di prestazione aumenta fino all’auto-sfruttamento. Esso è più efficace dello sfruttamento da parte di altri in quanto si accompagna a un sentimento di libert໹. In una simile dinamica, il singolo diviene così sia vittima sia carnefice, essendo sottoposto psicologicamente a un nuovo obbligo sociale: la prestazione. 

Tehching Hsieh, One Year Performance 1985-1986 (No Art Piece, Statement), 1985-1986

Ira Lombardia, artista, ricercatrice ed educatrice, nel 2012 presenta il suo progetto Visual Strike, che sfida le convenzioni e le retoriche dell’arte contemporanea, della fotografia e della filosofia, focalizzandosi sulla trasformazione del paradigma postmoderno nella cultura visiva digitale, dunque arrivando a una riflessione sulla società nel suo complesso, che spesso induce a una perenne produzione. Nell’accezione di questo lavoro, Lombardia legge tale urgenza in chiave di ecologia fotografica: quante immagini vengono prodotte ogni giorno accrescendo l’inquinamento visivo? Con l’avvento della post-fotografia si inizia a riflettere sull’impatto che la produzione continua di immagini può avere, ci si chiede quando è davvero il caso di creare e condividere nuovo materiale e quando si potrebbe evitare. Il 24 maggio 2012 l’artista firma un manifesto che invoca uno sciopero delle immagini: per mille giorni rimuove ogni foto dal suo sito web e lascia un testo che spiega il gesto. Con questa azione Lombardia non vuole smettere di produrre in generale, ma prendere posizione contestando il consumismo delle immagini “usa e getta”.

È uno sciopero simbolico, un atto di ribellione, perché ci sono talmente tante immagini che, per il fatto di essere troppe, non hanno praticamente più valore. Esse perdono la loro forza, il loro significato, sono così tante che non lasciano respirare e soffocano tutto, assolutamente tutto².

L’artista, in questo modo, si sottrae alla complicità di generare ulteriori immagini che andrebbero solo ad accrescere un inquinamento visivo.

 

La criticità della società della prestazione è pertanto il suo generare individui che si sentono in dovere di essere produttori di loro stessi come unico obiettivo di vita (per quanto spesso tale impulso possa rimanere inconscio) e, più questo aspetto viene portato agli estremi, più si va incontro al risultato opposto: la depressione. La persona smette di produrre.

Questo è il grande paradosso della nostra società.

 

Esaurimento e affaticamento sono manifestazioni di una violenza neuronale all’interno di una società caratterizzata da continui eccessi di prestazione. Il soggetto arriva a essere in guerra con se stesso provocando gravi conseguenze sulla sua salute mentale. I disturbi psichici assumono quindi una valenza sociale e politica: non riguardano più il singolo ma il sistema nella sua interezza, complice della loro manifestazione. Il burnout, la depressione, e la sindrome ADHD³ non sono altro che evidenze delle criticità del sistema sociale attuale. Un aspetto che tuttavia possiamo riscontrare è come, alla luce di questa situazione, spesso si cerchino modi per gestire il malessere, evitando di leggerlo in chiave politica. Nascono modalità di auto-aiuto, come lo yoga, la meditazione, o si ricorre anche alla farmacologia per superare momenti di fragilità e poi ricominciare con le modalità che impone il sistema.

 

La curatrice Sonia Fernández Pan, in un testo intitolato Humans are ecohazards, machines too, tratta la tematica del malessere generato dal sistema, soffermandosi sul suo stress personale che la porta poi a soffrire di bruxismo⁴. L’autrice prende in esame il suo apparecchio notturno, che diventa così simbolo delle conseguenze delle dinamiche della società contemporanea, raccontando: «Ogni notte, la mia lingua accarezza questo dispositivo di plastica che contiene l’ideologia del sistema: modera i sintomi del disagio trascurando strategicamente le cause»⁵

 

A questo punto diventa necessario chiedersi: gli artisti come gestiscono l’auto-imposizione di produttività e prestazione nella quotidianità, dal momento che essi possono essere visti come i soggetti produttori di se stessi per eccellenza? 

 

L’artista deve infatti farsi carico della costruzione della propria notorietà e del valore del suo lavoro, per questo si impegna costantemente per promuovere se stesso, creando opportunità e sfide che lo accompagnano nella sua carriera, e dalla sua produttività ne deriva direttamente il suo sostentamento. Tuttavia, è proprio quando il soggetto crede di avere totale libertà che esso diventa vittima del sistema e insieme carnefice di se stesso, sfociando perciò nell’auto-sfruttamento. E dal momento che per un artista ciò rappresenta una dinamica quotidiana, diviene fondamentale una presa di coscienza.

 

Una forte tematica che nasce da tale necessità riguarda la potenza del “no”, concetto ripreso da vari autori. Primo fra tutti, Herman Melville con la celebre frase «I would prefer not to» pronunciata dal suo personaggio Bartleby, protagonista del romanzo Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street⁶, la cui analisi verrà successivamente approfondita da altri autori come Giorgio Agamben e Gilles Deleuze. L’imporsi con il “no” fa dunque leva sulla possibilità di uscire dalle dinamiche della società della prestazione, decidendo coscientemente di “non fare”: azione di resistenza in risposta a una società iperproduttiva. Se ripensiamo quindi alla performance di Tehching Hsieh è evidente la sua rilevanza: l’artista non fa altro che adottare il “no” e dare risonanza alla sua potenza, portandola al suo estremo.

 

Altra dinamica da evidenziare alla base della società della prestazione è quella economica, per la quale si rileva una continua tendenza alla produzione: un generare perpetuo di elementi da immettere sui diversi mercati. A questo proposito, un progetto che ne porta in luce la complessità è Tear Dealer, video installazione realizzata da Alicja Rogalska e Łukasz Surowiec nel 2014. I due artisti decidono di affittare per qualche giorno uno spazio situato in una delle strade principali di Lublino, in Polonia. Nel locale chiunque, volendolo, avrebbe potuto produrre e vendere le proprie lacrime a circa 25 euro per 3 ml. Questo spazio si uniformava perfettamente con il resto dei negozi e spazi commerciali della via, entrando nelle logiche produttive della città. L’opera finale dei due artisti diviene poi un video che documenta queste giornate e mostra le persone che vi hanno preso parte. Tale progetto rappresenta un’inversione della logica del lavoro, consentendo alle persone di esprimere collettivamente e capitalizzare i propri sentimenti di disperazione e frustrazione. I partecipanti si ritrovano quindi a sfruttare in termini economici e rendere produttiva persino la loro sofferenza, commercializzando le emozioni. In una società della produttività come quella in cui viviamo, qualsiasi cosa può entrare nel sistema produttivo e il lavoro di Rogalska e Surowiec ne è una prova tangibile.

 

Alla luce di questa analisi, si può notare come la tematica presa in questione sia ampia e complessa e abbia di conseguenza diverse sfaccettature. In una società nella quale si cerca di attenuare i sintomi senza andare alla radice del problema, è fondamentale iniziare a leggere in chiave politica alcune situazioni di malessere, prendendo coscienza delle dinamiche insite al sistema stesso. In simili condizioni, gli artisti possono guidare ciascuno di noi nell’interpretare in modo critico alcune circostanze che altrimenti sembrerebbero ordinarie. Dobbiamo aspirare al raggiungimento di un equilibrio tra una produttività sana e un eccessivo bisogno di prestazione, nella speranza di costruire una società più consapevole e autentica..

Tehching Hsieh, One Year Performance 1985-1986 (No Art Piece, Poster), 1985-1986

¹ Byung-Chul Han, La società della stanchezza, Nottetempo, Milano, 2020, p. 28.

² Joan Fontcuberta, La furia delle immagini. Note sulla postfotografia, Einaudi, Torino, 2018, p. 141.

³ In Treccani.com: da acronimo Attention Defict Hyperactivity Disorder: «Situazione patologica caratterizzata da facile distraibilità o disattenzione, tale che un soggetto è incapace di portare a termine un compito».

⁴ In Treccani.com: «Abitudine di serrare e digrignare i denti in una serie di movimenti involontari ritmici e spasmodici della mandibola durante il sonno: causata per lo più da situazioni psichiche particolari (tensioni emotive, frustrazioni, stati di ansia ecc.)».

 «Cada noche, mi lengua acaricia este dispositivo de plástico que contiene la ideología del sistema: modera los síntomas del malestar mientras desatiende estratégicamente sus causas» (Traduzione dell’autrice) in Sonia Fernández Pan, Humans are ecohazards, machines too, in Institute for Postnatural Studies’ Compost Reader, Cthulhu Books, Tallinn, 2021, p. 10.

Herman Melville, Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street, SE, Milano, 2013.

Giorgio Agamben, Gilles Deleuze, Bartleby. La formula della creazione, Quodlibet, Macerata, 2011.

Sofia Rasile (Bergamo, 2001) consegue il titolo di laurea triennale nel 2023 presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, con una tesi che tratta l’iperproduttività nel mondo dell’arte. Ha completato precedentemente un Erasmus presso la Universitat de Barcelona nella Facultad de Bellas Artes che le ha permesso di ampliare le sue prospettive. Dopo un’esperienza in veste di storica dell’arte nella galleria di arte contemporanea BcmA, a Berlino, sta attualmente coltivando la sua inclinazione curatoriale. I suoi interessi si estendono inoltre alla creazione di progetti artistici, attraverso i quali esprime la sua personale visione del mondo e affronta tematiche sociali. 

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