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Chi ospita Chi?
Partire da questa domanda vuol dire, in realtà, non partire affatto. Nessun’oltre in cui addentrarsi, nemmeno un soggetto che entra in scena, pronto a rispondere – o quanto meno a palesare un’illusione di sicurezza – a un interrogativo che, come le parole considerate erroneamente ‘banali’, se ripetuto più volte finisce per rivelare il suo mistero.
Chi ospita Chi?
Chi ospita Chi?
Chi ospita Chi
Chi ospita Chi?
!Ospita?
!Chi?
Quando le parole iniziano a fluttuare – Chi ospita Chi? – è come se iniziasse una qualche strana rivoluzione. Perché rendere una parola aerea permette di cambiarne la voce di partenza, inscrivendola in un altro corpo che ora può farla sua senza il peso delle cose consolidate.
Chi ospita chi? Le parole che fluttuano non hanno una destinazione, e conservano in sé la meraviglia strana delle cose che accadono. Così questa domanda chiede di non partire ma di rimanere, che alla fine è comunque muoversi, anche se nelle sue lacune.
Definizione arbitraria e consolidata: inizialmente la domanda potrebbe lasciar intuire una qualche linearità. Chi è nel rifugio ospita chi erra all’esterno, e chi era all’esterno decide di lasciarsi ospitare. Dualismo morale del buon costume.
Definizione arbitraria e perturbante: ‘Chi ospita Chi?” è una domanda palindroma, con le due entità grammaticali condannate a orbitare intorno ad un atto che ora inizia a sfuggire, a espandersi. Avanti e indietro, e viceversa: ospitare non è forse portare l’esterno nel rifugio? E come continua il movimento quando due corpi si incontrano?
Domanda veloce, che si risolve nell’esperienza immediata: esterno e interno, soggetto e oggetto, rifugio e catastrofe che si alternano fino a scomparire, in un ritmo difficile da seguire.
Spaccare queste categorie vuol dire accettare forse una situazione che sa di esilio, ma senza colpa: una pratica di ospitalità in cui esistono solo viandanti e rifugi precari, e dove ogni sguardo dell’altro – verso l’altro – genera una collisione senza perimetro. Radicale sinonimo di tenerezza.
Chi ospita chi?
Chi ospita chi?
Chi ospita chi?
Chi ospita chi?
Chi ospita chi?
Chi ospita chi? Chi ospita chi?
Chi ospita chi? Chi ospita chi?
Definizione arbitraria e speculativa: dalla linearità alla natura palindroma, immagina ora non una, non due entità, ma una folla di corpi che semplicemente desiderano, come la Marea Palpitante visionata da Antonin Artaud, in una sua omonima poesia del 1922:
Marea palpitante, marea piena di corpi
[…]
Marea profonda, astri girevoli, schiuma, carne,
Specchi dove si riflettono gli angeli,
Fumi, fumi dalle volute strane
Dove trascorrono specchi di orizzonti erranti.
Immagina e cerca di entrarci, nella folla, anche se già ci sei.
Ospitare è la traiettoria sempre incerta, la voluta strana coreografata dalle parole – Chi ospita chi? – e dalla materia del mondo, ogni volta che il centro si perde, la linearità implode e il brusio dell’altro si infila negli interstizi propria porta.
Ultima non-definizione: la domanda “Chi ospita Chi?” È fondamentale solo per dare delle coordinate, a patto che esse si perdano.
Definire l’altro è ancora recintare, ospitare è forse invece lasciar socchiusa la porta: un movimento minimo, aereo e terreno, dove la posta in gioco è allo stesso tempo ontologica, epistemica, estetica, e politica.
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